Lavorare meno per lavorare tutti: è questa la semplice idea che sta alla base dei contratti solidarietà, un ammortizzatore sociale normalmente previsto dalla legislazione e in parte riscoperto con la crisi. In pratica, dove possibile, per evitare il ricorso ai licenziamenti o alla cassa integrazione, azienda e lavoratori si accordano in modo da ridurre l’orario lavorativo di tutti i dipendenti. “Il vantaggio – spiega Marcello Maggio della Cisl – è che se con la cassa integrazione a zero ore si può arrivare a percepire al massimo il 56% dello stipendio, con la solidarietà, grazie alle integrazioni dell’Inps ed eventualmente dell’azienda, si arriva anche all’80%. Inoltre se la cassa può arrivare a un massimo di 24 mesi, i contratti sono prorogabili fino a 4 anni. È necessario però che tutti i lavoratori, non solo quelli a rischio di cassa o di licenziamento, rinuncino a una parte del loro. C’è da dire che nonostante tutto la crisi ha semmai accentuato la solidarietà”.
Uno dei settori dove i contratti di solidarietà hanno più ampia applicazione è quello metalmeccanico: “Se prima della crisi le aziende coinvolte erano quattro – spiega Pietro Passarino, della Fiom -, ora sono 20, con un numero di lavoratori in solidarietà che è passato da 1000 a 5000. Da parte delle aziende troviamo meno difficoltà e i lavoratori sono mediamente sempre disponibili”.
Ovviamente non in tutti i settori le cose sono così semplici: “Nel commercio – chiarisce Cosimo La Volta, della Uil-commercio di Torino – i contratti praticamente non esistono: quasi tutti gli impiegati di questo settore lavorano part-time, non per scelta ma perché è spesso l’unica possibilità contrattuale, ed è quindi impensabile un’ulteriore riduzione dell’orario. Inoltre è un settore giovane in cui i valori della solidarietà si sono un po’ persi”.
Per il tessile le cose cambiano a seconda della provincia. Nella provincia di Torino le aziende coinvolte sono quattro: “Erano zero prima della crisi – dice Giuseppe Graziano, della Uil-tessili di Torino -, ora, tra operai e impiegati, i dipendenti coinvolti sono 200. I contratti di solidarietà sono uno strumento ottimo: non possiamo che auspicare che il loro utilizzo si allarghi”. Diversamente vanno le cose a Biella: “Abbiamo aziende con reparti completamente chiusi, in una situazione di crisi profonda – spiega Giancarlo Lorenzi, della Femca-Cisl di Biella - e in queste condizioni applicare la solidarietà è pressoché impossibile”. In provincia di Novara infine sono 2, per un totale di 180 dipendenti, le ditte che stanno utilizzando i contratti: “Al contrario di quanto a volte si creda – commenta Domenico Turri, della Femca-Cisl di Novara – sono uno strumento molto flessibile e in alcuni siamo anche riusciti a utilizzarli per superare un momento di crisi. Nel 2006 e nel 2007 avevamo 500 lavoratori in solidarietà, una media superiore ad altre province: il fatto che ora siano meno di 200 non deve ingannare perché è dovuto a una crisi più generalizzata e al fatto che diverse imprese non hanno potuto far altro che chiudere”.
Uno dei settori dove i contratti di solidarietà hanno più ampia applicazione è quello metalmeccanico: “Se prima della crisi le aziende coinvolte erano quattro – spiega Pietro Passarino, della Fiom -, ora sono 20, con un numero di lavoratori in solidarietà che è passato da 1000 a 5000. Da parte delle aziende troviamo meno difficoltà e i lavoratori sono mediamente sempre disponibili”.
Ovviamente non in tutti i settori le cose sono così semplici: “Nel commercio – chiarisce Cosimo La Volta, della Uil-commercio di Torino – i contratti praticamente non esistono: quasi tutti gli impiegati di questo settore lavorano part-time, non per scelta ma perché è spesso l’unica possibilità contrattuale, ed è quindi impensabile un’ulteriore riduzione dell’orario. Inoltre è un settore giovane in cui i valori della solidarietà si sono un po’ persi”.
Per il tessile le cose cambiano a seconda della provincia. Nella provincia di Torino le aziende coinvolte sono quattro: “Erano zero prima della crisi – dice Giuseppe Graziano, della Uil-tessili di Torino -, ora, tra operai e impiegati, i dipendenti coinvolti sono 200. I contratti di solidarietà sono uno strumento ottimo: non possiamo che auspicare che il loro utilizzo si allarghi”. Diversamente vanno le cose a Biella: “Abbiamo aziende con reparti completamente chiusi, in una situazione di crisi profonda – spiega Giancarlo Lorenzi, della Femca-Cisl di Biella - e in queste condizioni applicare la solidarietà è pressoché impossibile”. In provincia di Novara infine sono 2, per un totale di 180 dipendenti, le ditte che stanno utilizzando i contratti: “Al contrario di quanto a volte si creda – commenta Domenico Turri, della Femca-Cisl di Novara – sono uno strumento molto flessibile e in alcuni siamo anche riusciti a utilizzarli per superare un momento di crisi. Nel 2006 e nel 2007 avevamo 500 lavoratori in solidarietà, una media superiore ad altre province: il fatto che ora siano meno di 200 non deve ingannare perché è dovuto a una crisi più generalizzata e al fatto che diverse imprese non hanno potuto far altro che chiudere”.
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