Strada dell’aeroporto, chilometro 7,8, al confine fra Borgaro e Torino. Lungo la strada sterrata, tra sfasciacarrozze, cancellate arrugginite e campi più o meno coltivati, non è raro imbattersi in rifiuti di ogni genere abbandonati. Tra copertoni, materassi e taniche d’olio anche tettoie, tubi e frammenti di eternit. Negli anni ’70 con il cemento-amianto si è costruito di tutto: era un ottimo isolante, facile da lavorare e ignifugo. In Italia, però, è fuori legge dal 1992: “Di per sé, l’eternit non è pericoloso per la salute pubblica – spiega Angelo Ferrero, coordinatore del corpo provinciale delle guardie ecologiche volontarie(Gev) mentre ci accompagna fra le discariche abusive-. I problemi nascono quando si degrada e disperde nell’ambiente fibre di amianto che possono venir respirate da chiunque. Le Gev hanno il compito di segnalare qualsiasi deposito abusivo di rifiuti, cercare e sanzionare i responsabili.”
Trovare piccole quantità di amianto abbandonato non è infrequente, d’altra parte la procedura di rimozione è piuttosto complessa e onerosa, quindi capita che il privato, e qualche azienda, ricorra al fai da te, rischiando tra l’altro di liberare, con un intervento scorretto, le pericolose fibre.
“Il fatto è che non si sa quanto ce n’è e nemmeno dove si trovi”. Angelo Robotto, dirigente di Arpa Piemonte, è impegnato nel monitoraggio della situazione ambientale regionale: “L’unico censimento completo per la presenza di amianto è stato fatto nella zona che comprende Casale e 47 comuni limitrofi, la vecchia Usl 76”. Intanto di amianto si continua a morire, un morto a settimana solo nel casalese.
Scuole, ambienti di lavoro ed edifici pubblici in generale sono monitorati dalle Asl e dagli altri enti di competenza. Ma non esiste un database unitario che metta insieme le conoscenze così acquisite. Le bonifiche costano e sono a carico del proprietario: a Torino, negli ultimi cinque anni, il comune ha speso 3.200.000 euro solo per bonificare 81 edifici scolastici in cui era presente l’amianto e per demolire altre due costruzioni contaminate. Nel 2009 sono in corso nuovi interventi per altri 2.600.000 euro. Uno sforzo che, quando sono passati già 17 anni dalla messa al bando dell’amianto, inizia a dare i suoi frutti. Nel rapporto di Legambiente, Ecosistema Scuola 2008, sullo stato degli edifici scolastici si legge: “Le grandi città come Torino (…) continuano a mostrare il loro impegno a rendere le loro scuole più vivibili, sicure e culturalmente al passo con i tempi. Lo dimostrano gli interventi sugli edifici torinesi avvenuti da 5 anni a questa parte per oltre l’80% di essi”.
Sotto controllo, come detto, anche la presenza di amianto in luoghi di lavoro e case popolari, monitorati rispettivamente da Asl e Agenzia territoriale per la casa. Dall’Atc spiegano che negli ultimi 15 anni gli interventi di bonifica sono stati numerosi, tenuto conto che la maggior parte delle case sono state costruite negli anni ’70, il periodo di boom dell’amianto. Il problema, ora, sono gli edifici rilevati dagli inquilini che iniziano a presentare forti segni di degrado. Per quanto riguarda gli edifici privati infatti ci si basa sull’autocertificazione. Il cittadino che si trova l’amianto in casa deve rivolgersi a una ditta specializzata che stende un piano di lavoro e lo sottopone all’Asl. “Fino a due anni fa – spiega Annalisa Lantermo, direttrice della Spresal, Asl 1 di Torino – era necessaria l’approvazione dell’Azienda Sanitaria locale. Ora invece, se dopo trenta giorni non arriva risposta, la ditta è autorizzata a iniziare i lavori”. L’Asl può poi avvalersi del supporto tecnico dell’Arpa per i casi più complessi. “Solo a Torino – continua Lantermo – lo scorso anno sono stati conclusi circa 200 lavori e abbiamo effettuato sopralluoghi in circa la metà dei cantieri”. Per gli altri ci si affida al senso di responsabilità di chi si occupa della bonifica.
Trovare piccole quantità di amianto abbandonato non è infrequente, d’altra parte la procedura di rimozione è piuttosto complessa e onerosa, quindi capita che il privato, e qualche azienda, ricorra al fai da te, rischiando tra l’altro di liberare, con un intervento scorretto, le pericolose fibre.
“Il fatto è che non si sa quanto ce n’è e nemmeno dove si trovi”. Angelo Robotto, dirigente di Arpa Piemonte, è impegnato nel monitoraggio della situazione ambientale regionale: “L’unico censimento completo per la presenza di amianto è stato fatto nella zona che comprende Casale e 47 comuni limitrofi, la vecchia Usl 76”. Intanto di amianto si continua a morire, un morto a settimana solo nel casalese.
Scuole, ambienti di lavoro ed edifici pubblici in generale sono monitorati dalle Asl e dagli altri enti di competenza. Ma non esiste un database unitario che metta insieme le conoscenze così acquisite. Le bonifiche costano e sono a carico del proprietario: a Torino, negli ultimi cinque anni, il comune ha speso 3.200.000 euro solo per bonificare 81 edifici scolastici in cui era presente l’amianto e per demolire altre due costruzioni contaminate. Nel 2009 sono in corso nuovi interventi per altri 2.600.000 euro. Uno sforzo che, quando sono passati già 17 anni dalla messa al bando dell’amianto, inizia a dare i suoi frutti. Nel rapporto di Legambiente, Ecosistema Scuola 2008, sullo stato degli edifici scolastici si legge: “Le grandi città come Torino (…) continuano a mostrare il loro impegno a rendere le loro scuole più vivibili, sicure e culturalmente al passo con i tempi. Lo dimostrano gli interventi sugli edifici torinesi avvenuti da 5 anni a questa parte per oltre l’80% di essi”.
Sotto controllo, come detto, anche la presenza di amianto in luoghi di lavoro e case popolari, monitorati rispettivamente da Asl e Agenzia territoriale per la casa. Dall’Atc spiegano che negli ultimi 15 anni gli interventi di bonifica sono stati numerosi, tenuto conto che la maggior parte delle case sono state costruite negli anni ’70, il periodo di boom dell’amianto. Il problema, ora, sono gli edifici rilevati dagli inquilini che iniziano a presentare forti segni di degrado. Per quanto riguarda gli edifici privati infatti ci si basa sull’autocertificazione. Il cittadino che si trova l’amianto in casa deve rivolgersi a una ditta specializzata che stende un piano di lavoro e lo sottopone all’Asl. “Fino a due anni fa – spiega Annalisa Lantermo, direttrice della Spresal, Asl 1 di Torino – era necessaria l’approvazione dell’Azienda Sanitaria locale. Ora invece, se dopo trenta giorni non arriva risposta, la ditta è autorizzata a iniziare i lavori”. L’Asl può poi avvalersi del supporto tecnico dell’Arpa per i casi più complessi. “Solo a Torino – continua Lantermo – lo scorso anno sono stati conclusi circa 200 lavori e abbiamo effettuato sopralluoghi in circa la metà dei cantieri”. Per gli altri ci si affida al senso di responsabilità di chi si occupa della bonifica.
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