Prima il caso Pinar, in aprile: un mercantile turco al centro di un contenzioso tra governo maltese e italiano. La nave aveva soccorso 140 migranti, perlopiù provenienti dal corno d’Africa, in balia del mare nel canale di Sicilia e si era poi vista negare il permesso di approdo da entrambi i governi. Per diversi giorni, in condizioni sanitarie ai limiti, con acqua e viveri sempre più scarsi, l’imbarcazione è stata lasciata in mezzo al mare. La contesa diplomatica, anche a seguito dell’intervento Ue, è stata risolta e i 140 disperati sono sbarcati in Sicilia.
È scattata quindi la linea dura: pochi giorni fa le motovedette italiane hanno respinto una caretta del mare con a bordo circa 200 persone prima che potesse raggiungere il limite delle acque territoriali italiane. Tutti quelli che erano a bordo sono stati forzatamente riportati sulle coste libiche, da cui erano partiti. Intervistati da alcuni quotidiani, i superstiti della Pinar hanno espresso la loro preoccupazione, raccontando delle torture all’ordine del giorno nei centri di detenzione libici dove ora sono stati riportati i 200 profughi.
Dure le reazioni della Cei e dell’Onu. L’alto Commissariato per i diritti dei rifugiati ha criticato l’atteggiamento del governo, sottolineando che molti dei rimpatriati avevano i requisiti per ottenere l’asilo politico e non c’è alcuna garanzia che la Libia rispetti i loro diritti sanciti dalla giurisdizione internazionale. Simile la posizione della Chiesa, che ha fatto un appello alla solidarietà.
Il premier Silvio Berlusconi ha invece ribadito il suo appoggio alla linea dure del ministro Maroni, condividendo l’opinione che in Italia ci siano già troppi emigrati. Diviso il Pd: la linea ufficiale è di opposizione a simili misure, ma non sono mancate voci a difesa della legittimità dei respingimenti da parte di Piero Fassino e Francesco Rutelli.
Anche la votazione dei tre maxiemendamenti ha suscitato diverse polemiche. Avendo il governo posto la fiducia non si è votato a scrutinio segreto: questo avrebbe determinato un voto di allineamento al partito e non di merito sulle norme in discussione.
È una dipendenza tutta particolare quella dal gioco eppure per certi versi paragonabile a patologie come l’alcoolismo, tanto che l’organizzazione mondiale della sanità la riconosce come un serio disturbo comportamentale. «Ci si allontana dagli amici – testimonia D. -, si gioca per allontanarsi dal mondo, dimenticarsi dei problemi, si nega sempre più tempo agli altri e si finisce per perdere tutti gli affetti. E poi il lavoro ne risente, il carattere cambia: si è nervosi e irritabili». Solo dopo diversi anni D. si è reso conto che il gioco era ben più di un vizio: «Si mente a se stessi in continuazione – spiega – e soprattutto alle persone care: per anni l’ho tenuto nascosto a mia moglie, che pure si rendeva conto che avevo un problema. E a darmi una scrollata alla fine è stata proprio lei: è stato per la paura di perdere mia moglie e mio figlio che mi sono deciso a smettere. Inizialmente ho provato da solo, ma ci sono ricaduto. Allora le ho raccontato tutto: comprensibilmente si è infuriata ma la mia fortuna è stata che non mi abbia abbandonato. Anzi. Per caso un giorno ha trovato un volantino dei giocatori anonimi e me l’ha portato. Ha lasciato che fossi io a scegliere come e quando contattarli. Dopo un mese mi sono deciso e ora sono quattro mesi che li frequento tutte le settimane».
Ma quando il gioco è una malattia? Non ci sono termini assoluti, ma solo relativi: «Capire quando si può parlare di dipendenza – spiega Daniela Capitanucci, psicologa, psicoterapeuta e presidente di And (Azzardo e Nuove Dipendenze) -, da un certo punto di vista è piuttosto semplice: di per sé giocare mezzora non è molto, ma se ci si era ripromessi di fermarsi dopo dieci minuti si è già in presenza di un sintomo. Lo stesso vale per l’entità delle giocate». Intanto il numero degli utenti aumenta: «Dal momento in cui il gioco d’azzardo è stato legalizzato – continua Capitanucci – è trattato come una merce: il marketing è quindi intervenuto per offrire prodotti diversificati per soddisfare tutte le utenze».
Non a caso tra i giocatori anonimi di Torino si trova gente di tutte le età: “Si va dai 18 ai 78 anni – racconta Carlo, coordinatore di uno dei gruppi ed ex giocatore da 9 anni -. Siamo circa una quarantina, abbiamo un sito (http://www.giocatorianonimi.org/) e un numero di telefono per poterci contattare (3493518772) e nonostante ci sia ancora poca informazione accogliamo persone di tutti i tipi: dalle casalinghe agli operai, dagli imprenditori agli artisti. La dipendenza dal gioco può colpire chiunque». Poco interessato alle polemiche sui videopoker e la legalizzazione del gioco d’azzardo, Carlo spiega che «attraverso gli incontri in gruppo si cerca di capire il problema che ha portato la persona a diventare dipendente dal gioco, che in fondo è il sintomo di un malessere interiore: se non si sfogasse con l’azzardo emergerebbe comunque in altre forme».
Uscirne è tutt’altro che facile, «dal gioco non si guarisce: si impara a conviverci», ma c’è almeno chi ha scoperto una nuova felicità: «La serenità – dice D. – e soprattutto non dover raccontare più bugie. Mentivo per tutto, non solo per coprire la mia dipendenza: se mia moglie ad esempio mi chiedeva se ero andato al lavoro in macchina dicevo senza motivo una bugia. Inizialmente ricominciare a dire la verità è strano, ma almeno ora faccio tutto alla luce del sole ed è una bella sensazione».
Trovare piccole quantità di amianto abbandonato non è infrequente, d’altra parte la procedura di rimozione è piuttosto complessa e onerosa, quindi capita che il privato, e qualche azienda, ricorra al fai da te, rischiando tra l’altro di liberare, con un intervento scorretto, le pericolose fibre.
“Il fatto è che non si sa quanto ce n’è e nemmeno dove si trovi”. Angelo Robotto, dirigente di Arpa Piemonte, è impegnato nel monitoraggio della situazione ambientale regionale: “L’unico censimento completo per la presenza di amianto è stato fatto nella zona che comprende Casale e 47 comuni limitrofi, la vecchia Usl 76”. Intanto di amianto si continua a morire, un morto a settimana solo nel casalese.
Scuole, ambienti di lavoro ed edifici pubblici in generale sono monitorati dalle Asl e dagli altri enti di competenza. Ma non esiste un database unitario che metta insieme le conoscenze così acquisite. Le bonifiche costano e sono a carico del proprietario: a Torino, negli ultimi cinque anni, il comune ha speso 3.200.000 euro solo per bonificare 81 edifici scolastici in cui era presente l’amianto e per demolire altre due costruzioni contaminate. Nel 2009 sono in corso nuovi interventi per altri 2.600.000 euro. Uno sforzo che, quando sono passati già 17 anni dalla messa al bando dell’amianto, inizia a dare i suoi frutti. Nel rapporto di Legambiente, Ecosistema Scuola 2008, sullo stato degli edifici scolastici si legge: “Le grandi città come Torino (…) continuano a mostrare il loro impegno a rendere le loro scuole più vivibili, sicure e culturalmente al passo con i tempi. Lo dimostrano gli interventi sugli edifici torinesi avvenuti da 5 anni a questa parte per oltre l’80% di essi”.
Sotto controllo, come detto, anche la presenza di amianto in luoghi di lavoro e case popolari, monitorati rispettivamente da Asl e Agenzia territoriale per la casa. Dall’Atc spiegano che negli ultimi 15 anni gli interventi di bonifica sono stati numerosi, tenuto conto che la maggior parte delle case sono state costruite negli anni ’70, il periodo di boom dell’amianto. Il problema, ora, sono gli edifici rilevati dagli inquilini che iniziano a presentare forti segni di degrado. Per quanto riguarda gli edifici privati infatti ci si basa sull’autocertificazione. Il cittadino che si trova l’amianto in casa deve rivolgersi a una ditta specializzata che stende un piano di lavoro e lo sottopone all’Asl. “Fino a due anni fa – spiega Annalisa Lantermo, direttrice della Spresal, Asl 1 di Torino – era necessaria l’approvazione dell’Azienda Sanitaria locale. Ora invece, se dopo trenta giorni non arriva risposta, la ditta è autorizzata a iniziare i lavori”. L’Asl può poi avvalersi del supporto tecnico dell’Arpa per i casi più complessi. “Solo a Torino – continua Lantermo – lo scorso anno sono stati conclusi circa 200 lavori e abbiamo effettuato sopralluoghi in circa la metà dei cantieri”. Per gli altri ci si affida al senso di responsabilità di chi si occupa della bonifica.
Uno dei settori dove i contratti di solidarietà hanno più ampia applicazione è quello metalmeccanico: “Se prima della crisi le aziende coinvolte erano quattro – spiega Pietro Passarino, della Fiom -, ora sono 20, con un numero di lavoratori in solidarietà che è passato da 1000 a 5000. Da parte delle aziende troviamo meno difficoltà e i lavoratori sono mediamente sempre disponibili”.
Ovviamente non in tutti i settori le cose sono così semplici: “Nel commercio – chiarisce Cosimo La Volta, della Uil-commercio di Torino – i contratti praticamente non esistono: quasi tutti gli impiegati di questo settore lavorano part-time, non per scelta ma perché è spesso l’unica possibilità contrattuale, ed è quindi impensabile un’ulteriore riduzione dell’orario. Inoltre è un settore giovane in cui i valori della solidarietà si sono un po’ persi”.
Per il tessile le cose cambiano a seconda della provincia. Nella provincia di Torino le aziende coinvolte sono quattro: “Erano zero prima della crisi – dice Giuseppe Graziano, della Uil-tessili di Torino -, ora, tra operai e impiegati, i dipendenti coinvolti sono 200. I contratti di solidarietà sono uno strumento ottimo: non possiamo che auspicare che il loro utilizzo si allarghi”. Diversamente vanno le cose a Biella: “Abbiamo aziende con reparti completamente chiusi, in una situazione di crisi profonda – spiega Giancarlo Lorenzi, della Femca-Cisl di Biella - e in queste condizioni applicare la solidarietà è pressoché impossibile”. In provincia di Novara infine sono 2, per un totale di 180 dipendenti, le ditte che stanno utilizzando i contratti: “Al contrario di quanto a volte si creda – commenta Domenico Turri, della Femca-Cisl di Novara – sono uno strumento molto flessibile e in alcuni siamo anche riusciti a utilizzarli per superare un momento di crisi. Nel 2006 e nel 2007 avevamo 500 lavoratori in solidarietà, una media superiore ad altre province: il fatto che ora siano meno di 200 non deve ingannare perché è dovuto a una crisi più generalizzata e al fatto che diverse imprese non hanno potuto far altro che chiudere”.
In un periodo di crisi come quello attuale, poi, che le cose peggiorino non deve stupire: “Sicuramente il numero di persone coinvolte è aumentato – afferma Marco Martino, vicequestore di Torino responsabile della criminalità organizzata -. Se poi prima c’erano persone che andavano in usura per pagarsi le vacanze o il telefonino, ora c’è chi è costretto a indebitarsi pericolosamente per poter acquistare beni primari”. E conferma: “In Piemonte è un settore meno legato che altrove ai racket mafiosi, ma è comunque un ramo che fa gola”.
Per contrastare il fenomeno la Regione ha attivato un apposito osservatorio. Ci sono poi le fondazioni antiusura a cui rivolgersi in caso di indebitamento, come la fondazione Crt o la San Matteo. “Negli ultimi mesi – racconta Ettore Ramojno, presidente della fondazione antiusura Crt – il numero di persone che si rivolgono a noi è più che raddoppiato: riceviamo in media 50 richieste di consulenza alla settimana”. Ed è cambiata anche la tipologia degli indebitati: “Se prima erano perlopiù operai – spiega – ora capita anche ai dirigenti. Quello che noi cerchiamo di fare è di consigliare alle persone come solvere i propri debiti, dopo avere analizzato la loro situazione finanziaria ed eventualmente offriamo la garanzia necessaria per far loro ottenere un prestito”.
Simile l’intervento della fondazione San Matteo, che però ha registrato una diminuzione nelle richieste: “Dal nostro punto di vista – afferma il presidente Germano Aprà – l’usura in Piemonte è a livelli bassissimi. Quello che invece registriamo è una situazione di fortissimo indebitamento. Al momento, poi, abbiamo solo 10 perone in attesa di consulenza”. Questo dato si potrebbe però spiegare con la visibilità ricevuta negli ultimi mesi dalla Crt in forza della sua collaborazione con l’Osservatorio regionale.
Per quanto riguarda le tipologie di indebitati, secondo i numeri della San Matteo, il 19% sono under 35, il 29% hanno tra i 35 e i 50 anni, mentre la maggioranza, il 52% è over 50. Il 52% svolge un lavoro dipendente, il 17% è pensionato, il 16% ha un lavoro autonomo e l’8% temporaneo, il restante 6% è disoccupato. “Spesso – commenta Aprà – il motivo dell’indebitamento è l’inesperienza, come nel caso di chi avvia piccole imprese, o una scarsa attenzione nell’amministrazione del denaro. Per questi motivi è necessaria una campagna informativa di prevenzione e soprattutto far capire che rivolgersi a un usuraio non è mai una soluzione ma sempre l’inizio di un problema più grande”.
E anche mantenersi è più facile: “Tutto sommato in Italia riuscire a fare esperienze di questo tipo e contemporaneamente mantenersi è molto difficile – continua Marco – mentre qua, dove il costo della vita è inferiore, riesco a studiare e lavora pagandomi tutte le spese”.
Tornerà in Italia? “Viaggerò ancora in Australia, spostandomi da Melbourne e credo che passerò ancora diversi mesi qua – spiega -, non ho limiti di tempo, non ho una data prefissata per il ritorno. È possibile comunque che rincasi, ma quasi sicuramente si tratterà di un rientro provvisorio, in attesa di un altro spostamento”.
TORINO - Nove appuntamenti, tra novembre e aprile, per declinare al presente il sentimento amoroso e indagarne le sfaccettature in un mondo che segue ritmi sempre più vorticosi. È “Lovetech – l’amore al tempo della tecnologia” il tema della quarta edizione de “La Città dell’uomo”, la rassegna teatrale di “Teatroinrivolta”.
Iniziata sotto i migliori auspici lo scorso 6 novembre con lo spettacolo in anteprima nazionale “Monbijou” scritto e diretto da Lucia Falco, questa edizione propone un percorso articolato e ambizioso, con nomi e spettacoli di richiamo. L’obiettivo finale? Una rappresentazione obliqua e sfaccettata del secolare tema dell’amore.
Che cosa significa Amare? L’amore del ventunesimo secolo è lo stesso sentimento che provavano i nostri nonni? Come cambia l’amore con i ritmi imposti dalla vita moderna? Sono solo alcune delle domande a cui l’edizione 2008 tenterà di dare una risposta. L’idea guida è fondere gesto artistico e sguardo critico e dar conto di come il progresso agisce sulla nostra pelle e sul nostro modo di sentire.
Insomma anche quest’anno “La Città dell’uomo” dà una propria interpretazione del teatro come stimolo alla riflessione e luogo di dibattito e impegno. Un’attenzione particolare è riservata al tentativo di radicamento tenace sul territorio con l’intenzione di sviluppare un rapporto di comunicazione autentica con il pubblico. Destinatari privilegiati soprattutto i giovanissimi, che la rassegna cerca di coinvolgere aggiornandoli su temi che non possono lasciare indifferenti.
Prossimo appuntamento, da non perdere, sabato 29 novembre: sarà in scena “Minus you too”, un’altra anteprima nazionale diretta da Violetta Spataro, storia intrecciata di cinque personaggi ambientata all’ex Motel La Paz. Martedì 9 dicembre sarà la volta di “Olà Meda”, per la regia di Gianluca Bottoni, una rivisitazione completamente trasformata dalla “Medea” di Euripide. Si continua giovedì 8 gennaio con “Van Gogh, il suicidato della società”, regia di Kogi Miazaky, storia di un uomo tra follia e genio. Mercoledì 11 febbraio tocca a “Sexmachine”, diretto da Massimo Somaglino, un quadro di umanità multiforme e complicata tra denaro, potere e solitudine.
“Un anno con 13 lune” di Rainer Werner Fassbinder, che racconta gli ultimi giorni di vita del transessuale Elvira Weishaupt nel 1978, sarà invece di scena giovedì 19 febbraio. Si continua sabato 7 marzo con “Ostaggi di pace”, tentativo di racconto della guerra tra Palestina e Israele. Prima nazionale mercoledì 25 marzo per “Giorno 177”, di e con Marcello Serafino, storia di una prigionia ed evasione da un campo di concentramento. A chiudere la rassegna, sabato 4 aprile, “Racconti di giugno-incontri con se stesso”, di e con Pippo Del Bono, originale diario di bordo e introspezione sul senso nascosto delle relazioni.
Tutti gli spettacoli inizieranno alla Maison Musique di via Rivoli alle 20.45. Costo del biglietto 10 euro. Per informazioni e prenotazioni http://www.teatroinrivolta.it/ oppure 0122 647656.
Aver qualche cosa da dire
nel mondo a se stessi, alla gente.
Che cosa? Io non so veramente
perché io non ho nulla da dire.
Che cosa? Io non so veramente.
Ma ci son quelli che sanno.
Io no - lo confesso a mio danno,
non ho da dir nulla ossia niente.
Perché continuare a mentire,
cercare d'illudersi? Adesso
chi’io parlo a me mi confesso:
io non ho niente da dire.
Eppure fra tante persone,
fra tanti culti colleghi
io sfido a trovar chi mi neghi
d'aver questa o quella opinione;
e forse mia madre, la sola
che veda ora in me fino in fondo,
è certa che anch'io venni al mondo
per dire una grande parola.
Gli amici discutono d'arte,
di Dio, di politica, d'altro:
e c'è chi mi crede il più scaltro
perché mi fo un poco in disparte:
qualcuno vorrebbe sentire
da me qualche cosa di più.
« Hai nulla da aggiungere tu? »
« Io, no, non ho niente da dire. »
È triste. Credetelo, in fondo,
è triste. Non essere niente.
Sfuggire cosi facilmente
a tutte le noie del mondo.
Sentirsi nell'anima il vuoto
quando altri più parla e ragiona.
Veder quella brava persona
imporsi un gran compito ignoto.
E quelli che chiedono a un tratto:
« Che avresti tu detto al mio posto? »
« Io... non avrei forse risposto...
Io... mi sarei finto distratto...»
Non aver nulla, né mire,
né bei sopraccapi, né vizi;
osar fino in mezzo ai comizi:
«No, sa? Non ho niente da dire».
Ed esser creduto un insonne,
un uomo che veglia sui libri,
un’anima ardita che vibri
da tutto uno stuolo di donne.
« Mi dica, sua madre che dice?
Io so dai suoi libri che adora
sua madre. Nevvero, signora?
nevvero che è tanto felice?
figlio! Vederlo salire,
seguirne il pensiero profondo…»
Ed io son l’unico al mondo
Che non ha niente da dire.
(Marino Moretti)