io non ho nulla da dire

(Marino Moretti 1911)

giu
22


di Valerio Pierantozzi

Saturday Night Buster! Non è una nuova trasmissione televisiva, ma la festa che la GTT si prepara ad organizzare sabato 20 giugno, per celebrare il primo anno di vita del servizio di autobus notturno a Torino. Nell´evento, che servirà a presentare le novità del servizio agli utenti, verranno coinvolti molti locali della movida torinese di piazza Vittorio, del Valentino e del Quadrilatero Romano. Video, gadgets, la nuova mappa tascabile del servizio e le show ball con le modelle del Night Buster aspettano tutti coloro che vogliono vivere la movida stando al centro della notte.Il bilancio, secondo un sondaggio condotto da Repubblica, è più che positivo, anche se migliorabile in alcuni punti, soprattutto per quanto riguarda la frequenza e la pulizia. Ma ciò che più manca al Night Buster è la pubblicità. Infatti molti ragazzi non conoscono l’esistenza di queste navette notturne e altri non sanno bene che linea prendere, anche perché a volte la numerazione diurna non corrisponde a quella notturna. In un anno oltre 130 mila persone hanno usato le navette che collegano la periferia con il centro città il venerdì e il sabato notte. E l´obiettivo per il secondo anno «è raggiungere quota 250.000 passeggeri», come ha detto l´amministratore delegato del Gtt, Tommaso Panero.Dieci linee collegano il centro cittadino ed in particolare piazza Vittorio Veneto con le restanti aree della città. Da venerdì 19 giugno, però, i percorsi di alcune linee saranno sostituiti o modificati. Per sapere cosa è cambiato si può andare sul sito della GTT, dove vengono spiegati nel dettaglio tutti i cambiamenti. Simpatico anche il video, visibile su youtube e sul sito del Gruppo Torinese Trasporti, realizzato per pubblicizzare il servizio: un giovane che prende il bus notturno e che “ruba” la ragazza a un altro, imbottigliato nel traffico con la sua Bmw.

giu
20


Tre sì per i maxiemendamenti al ddl sicurezza, su cui il governo aveva posto la fiducia. Per oggi è prevista la votazione della Camera sul pacchetto sicurezza, che dovrà poi tornare al Senato per l’approvazione definitiva. Reato di clandestinità, ronde, registro dei clochard, permanenza fino a sei mesi nei Cie: sono solo alcune delle norme contenute nel disegno. Ma questo è solo l’ultimo atto di una faccenda che riguarda strettamente anche le cronache degli ultimi giorni: da diverse settimane l’Italia è al centro di polemiche internazionali per la questione dei respingimenti dei migranti.
Prima il caso Pinar, in aprile: un mercantile turco al centro di un contenzioso tra governo maltese e italiano. La nave aveva soccorso 140 migranti, perlopiù provenienti dal corno d’Africa, in balia del mare nel canale di Sicilia e si era poi vista negare il permesso di approdo da entrambi i governi. Per diversi giorni, in condizioni sanitarie ai limiti, con acqua e viveri sempre più scarsi, l’imbarcazione è stata lasciata in mezzo al mare. La contesa diplomatica, anche a seguito dell’intervento Ue, è stata risolta e i 140 disperati sono sbarcati in Sicilia.
È scattata quindi la linea dura: pochi giorni fa le motovedette italiane hanno respinto una caretta del mare con a bordo circa 200 persone prima che potesse raggiungere il limite delle acque territoriali italiane. Tutti quelli che erano a bordo sono stati forzatamente riportati sulle coste libiche, da cui erano partiti. Intervistati da alcuni quotidiani, i superstiti della Pinar hanno espresso la loro preoccupazione, raccontando delle torture all’ordine del giorno nei centri di detenzione libici dove ora sono stati riportati i 200 profughi.
Dure le reazioni della Cei e dell’Onu. L’alto Commissariato per i diritti dei rifugiati ha criticato l’atteggiamento del governo, sottolineando che molti dei rimpatriati avevano i requisiti per ottenere l’asilo politico e non c’è alcuna garanzia che la Libia rispetti i loro diritti sanciti dalla giurisdizione internazionale. Simile la posizione della Chiesa, che ha fatto un appello alla solidarietà.
Il premier Silvio Berlusconi ha invece ribadito il suo appoggio alla linea dure del ministro Maroni, condividendo l’opinione che in Italia ci siano già troppi emigrati. Diviso il Pd: la linea ufficiale è di opposizione a simili misure, ma non sono mancate voci a difesa della legittimità dei respingimenti da parte di Piero Fassino e Francesco Rutelli.
Anche la votazione dei tre maxiemendamenti ha suscitato diverse polemiche. Avendo il governo posto la fiducia non si è votato a scrutinio segreto: questo avrebbe determinato un voto di allineamento al partito e non di merito sulle norme in discussione.

giu
18


«La felicità per il giocatore d’azzardo? Quando perde». D., 31 anni, ex giocatore, sa bene che è un paradosso ma non sempre le meccaniche della dipendenza sono facili da spiegare. Sobrio da 4 mesi, e non a caso parla di sobrietà, frequenta il gruppo dei giocatori anonimi di Torino. «Si gioca per provare emozioni forti, che io ho trovato soprattutto con le scommesse sportive – racconta -. Se a mezzora dalla fine della partita si è già certi di vincere l’adrenalina finisce. Quando si sta perdendo invece si spera fino alla fine in un miracolo, si è tesi, ci si mangia le dita: è così che mi sono reso conto che in realtà ero felice quando perdevo. I soldi di per sé non contano, sono solo un mezzo, al massimo si gioisce quando si recupera una somma persa da poco».
È una dipendenza tutta particolare quella dal gioco eppure per certi versi paragonabile a patologie come l’alcoolismo, tanto che l’organizzazione mondiale della sanità la riconosce come un serio disturbo comportamentale. «Ci si allontana dagli amici – testimonia D. -, si gioca per allontanarsi dal mondo, dimenticarsi dei problemi, si nega sempre più tempo agli altri e si finisce per perdere tutti gli affetti. E poi il lavoro ne risente, il carattere cambia: si è nervosi e irritabili». Solo dopo diversi anni D. si è reso conto che il gioco era ben più di un vizio: «Si mente a se stessi in continuazione – spiega – e soprattutto alle persone care: per anni l’ho tenuto nascosto a mia moglie, che pure si rendeva conto che avevo un problema. E a darmi una scrollata alla fine è stata proprio lei: è stato per la paura di perdere mia moglie e mio figlio che mi sono deciso a smettere. Inizialmente ho provato da solo, ma ci sono ricaduto. Allora le ho raccontato tutto: comprensibilmente si è infuriata ma la mia fortuna è stata che non mi abbia abbandonato. Anzi. Per caso un giorno ha trovato un volantino dei giocatori anonimi e me l’ha portato. Ha lasciato che fossi io a scegliere come e quando contattarli. Dopo un mese mi sono deciso e ora sono quattro mesi che li frequento tutte le settimane».
Ma quando il gioco è una malattia? Non ci sono termini assoluti, ma solo relativi: «Capire quando si può parlare di dipendenza – spiega Daniela Capitanucci, psicologa, psicoterapeuta e presidente di And (Azzardo e Nuove Dipendenze) -, da un certo punto di vista è piuttosto semplice: di per sé giocare mezzora non è molto, ma se ci si era ripromessi di fermarsi dopo dieci minuti si è già in presenza di un sintomo. Lo stesso vale per l’entità delle giocate». Intanto il numero degli utenti aumenta: «Dal momento in cui il gioco d’azzardo è stato legalizzato – continua Capitanucci – è trattato come una merce: il marketing è quindi intervenuto per offrire prodotti diversificati per soddisfare tutte le utenze».
Non a caso tra i giocatori anonimi di Torino si trova gente di tutte le età: “Si va dai 18 ai 78 anni – racconta Carlo, coordinatore di uno dei gruppi ed ex giocatore da 9 anni -. Siamo circa una quarantina, abbiamo un sito (http://www.giocatorianonimi.org/) e un numero di telefono per poterci contattare (3493518772) e nonostante ci sia ancora poca informazione accogliamo persone di tutti i tipi: dalle casalinghe agli operai, dagli imprenditori agli artisti. La dipendenza dal gioco può colpire chiunque». Poco interessato alle polemiche sui videopoker e la legalizzazione del gioco d’azzardo, Carlo spiega che «attraverso gli incontri in gruppo si cerca di capire il problema che ha portato la persona a diventare dipendente dal gioco, che in fondo è il sintomo di un malessere interiore: se non si sfogasse con l’azzardo emergerebbe comunque in altre forme».
Uscirne è tutt’altro che facile, «dal gioco non si guarisce: si impara a conviverci», ma c’è almeno chi ha scoperto una nuova felicità: «La serenità – dice D. – e soprattutto non dover raccontare più bugie. Mentivo per tutto, non solo per coprire la mia dipendenza: se mia moglie ad esempio mi chiedeva se ero andato al lavoro in macchina dicevo senza motivo una bugia. Inizialmente ricominciare a dire la verità è strano, ma almeno ora faccio tutto alla luce del sole ed è una bella sensazione».

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Sono nata a Milano il 23 giugno 1986, ma attualmente vivo a Torino dove frequento il Master in Giornalismo

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Per ora ci troverete gli articoli miei e dei miei colleghi pubblicati su Futura (il magazine del master in giornalismo di Torino).

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