«La felicità per il giocatore d’azzardo? Quando perde». D., 31 anni, ex giocatore, sa bene che è un paradosso ma non sempre le meccaniche della dipendenza sono facili da spiegare. Sobrio da 4 mesi, e non a caso parla di sobrietà, frequenta il gruppo dei giocatori anonimi di Torino. «Si gioca per provare emozioni forti, che io ho trovato soprattutto con le scommesse sportive – racconta -. Se a mezzora dalla fine della partita si è già certi di vincere l’adrenalina finisce. Quando si sta perdendo invece si spera fino alla fine in un miracolo, si è tesi, ci si mangia le dita: è così che mi sono reso conto che in realtà ero felice quando perdevo. I soldi di per sé non contano, sono solo un mezzo, al massimo si gioisce quando si recupera una somma persa da poco».
È una dipendenza tutta particolare quella dal gioco eppure per certi versi paragonabile a patologie come l’alcoolismo, tanto che l’organizzazione mondiale della sanità la riconosce come un serio disturbo comportamentale. «Ci si allontana dagli amici – testimonia D. -, si gioca per allontanarsi dal mondo, dimenticarsi dei problemi, si nega sempre più tempo agli altri e si finisce per perdere tutti gli affetti. E poi il lavoro ne risente, il carattere cambia: si è nervosi e irritabili». Solo dopo diversi anni D. si è reso conto che il gioco era ben più di un vizio: «Si mente a se stessi in continuazione – spiega – e soprattutto alle persone care: per anni l’ho tenuto nascosto a mia moglie, che pure si rendeva conto che avevo un problema. E a darmi una scrollata alla fine è stata proprio lei: è stato per la paura di perdere mia moglie e mio figlio che mi sono deciso a smettere. Inizialmente ho provato da solo, ma ci sono ricaduto. Allora le ho raccontato tutto: comprensibilmente si è infuriata ma la mia fortuna è stata che non mi abbia abbandonato. Anzi. Per caso un giorno ha trovato un volantino dei giocatori anonimi e me l’ha portato. Ha lasciato che fossi io a scegliere come e quando contattarli. Dopo un mese mi sono deciso e ora sono quattro mesi che li frequento tutte le settimane».
Ma quando il gioco è una malattia? Non ci sono termini assoluti, ma solo relativi: «Capire quando si può parlare di dipendenza – spiega Daniela Capitanucci, psicologa, psicoterapeuta e presidente di And (Azzardo e Nuove Dipendenze) -, da un certo punto di vista è piuttosto semplice: di per sé giocare mezzora non è molto, ma se ci si era ripromessi di fermarsi dopo dieci minuti si è già in presenza di un sintomo. Lo stesso vale per l’entità delle giocate». Intanto il numero degli utenti aumenta: «Dal momento in cui il gioco d’azzardo è stato legalizzato – continua Capitanucci – è trattato come una merce: il marketing è quindi intervenuto per offrire prodotti diversificati per soddisfare tutte le utenze».
Non a caso tra i giocatori anonimi di Torino si trova gente di tutte le età: “Si va dai 18 ai 78 anni – racconta Carlo, coordinatore di uno dei gruppi ed ex giocatore da 9 anni -. Siamo circa una quarantina, abbiamo un sito (
http://www.giocatorianonimi.org/) e un numero di telefono per poterci contattare (3493518772) e nonostante ci sia ancora poca informazione accogliamo persone di tutti i tipi: dalle casalinghe agli operai, dagli imprenditori agli artisti. La dipendenza dal gioco può colpire chiunque». Poco interessato alle polemiche sui videopoker e la legalizzazione del gioco d’azzardo, Carlo spiega che «attraverso gli incontri in gruppo si cerca di capire il problema che ha portato la persona a diventare dipendente dal gioco, che in fondo è il sintomo di un malessere interiore: se non si sfogasse con l’azzardo emergerebbe comunque in altre forme».
Uscirne è tutt’altro che facile, «dal gioco non si guarisce: si impara a conviverci», ma c’è almeno chi ha scoperto una nuova felicità: «La serenità – dice D. – e soprattutto non dover raccontare più bugie. Mentivo per tutto, non solo per coprire la mia dipendenza: se mia moglie ad esempio mi chiedeva se ero andato al lavoro in macchina dicevo senza motivo una bugia. Inizialmente ricominciare a dire la verità è strano, ma almeno ora faccio tutto alla luce del sole ed è una bella sensazione».